(dal capitolo XX)
“Lucia tentò un’altra volta di buttarsi d’improvviso allo sportello; ma vedendo ch’era inutile, ricorse di nuovo alle preghiere; e con la testa bassa, con le gote irrigate di lacrime, con la voce interrotta dal pianto, con le mani giunte dinanzi alle labbra, – oh – diceva: – per l’amor di Dio, e della Vergine santissima, lasciatemi andare! Cosa v’ho fatto di male io? Sono una povera creatura che non v’ha fatto niente. Quello che m’avete fatto voi, ve lo perdono di cuore; e pregherò Dio per voi. Se avete anche voi una figlia, una moglie, una madre, pensate quello che patirebbero, se fossero in questo stato. Ricordatevi che dobbiamo morir tutti, e che un giorno desidererete che Dio vi usi misericordia. Lasciatemi andare, lasciatemi qui: il Signore mi farà trovar la mia strada.
– Non possiamo.
– Non potete? Oh Signore! perché non potete? Dove volete condurmi? Perché? …
– Non possiamo: è inutile: non abbiate paura, che non vogliamo farvi male: state quieta, e nessuno vi toccherà.”
Renzo, come lo abbiamo visto, è l’uomo dell’azione, mosso dalla curiosità: il prezzo della curiosità, dice la letteratura dai tempi di Apuleio, è la perdita della casa, della patria e dell’identità, perché conoscere è conoscersi e conoscersi è ridefinirsi. Del resto, il suo nome è chiaro: Renzo, da Lorenzo, derivato di laurus, l’alloro, premio del vincitore, e Tramaglino, con “trama” fin dall’inizio del cognome: che si cacci nei guai, o li produca, ce l’ha dall’inizio.
E poi c’è Lucia, che appunto si chiama così perché porta la luce, e di cognome fa Mondella, che viene da monda, quindi limpida, pulita. Lucia non trama, anzi si sottrae alle brighe: è, come la luce, pura presenza, ma tanto basta per lasciare un segno in chi le sta accanto. Ma che segno è, di dove viene? Sarà l’Innominato a dare, se non una risposta, un’indicazione.