ultimo giorno di consiglio comunale

E’ il mio ultimo giorno di una scuola un po’ particolare, quella dei cinque anni di consigli comunali a Pordenone. Salterò il consiglio che verrà probabilmente indetto per lunedì prossimo, e sarebbe (se lo sarà) il terzo in cinque anni (le altre due assenze: malattia la prima, lavoro la seconda).

Sono stato consigliere di maggioranza, il che significa stare dalla parte che usa meno due strumenti -le interrogazioni e le mozioni- che fanno parte delle forme di partecipazione più proprie delle opposizioni. In un comune piccolo come Pordenone, però, al di là di questo (e pure al di là dell’appartenenza di lista, o politica) il consigliere comunale si ritaglia un ruolo legato molto alle sue caratteristiche e ai suoi interessi e talenti personali.

Per mio conto, di questi anni la cosa che più mi ha segnato è stata la mozione per avviare il percorso per la concessione dei benefici della “legge Bacchelli” a Federico Tavan. E’ stata una gioia, un anno dopo la presentazione in aula della mozione (in una serata memorabile avviata da Ida Vallerugo, Pierluigi Cappello e Aldo Colonnello -un trio formidabile), sapere che, a valle di una catena d’interventi e d’interessamenti (molti dei quali intessuti da Gianni Zanolin, dal quale oggi mi può allontanare qualche punto di vista politico, ma non certo l’amicizia), nell’autunno del 2008 Federico ha ottenuto quel beneficio. Gioia, certo, per un provvedimento che rende meno pesante la vita di quello che è stato il chiaroscurale folletto di Andreis -meno pesante, ma non certo quella ch’era stata. Più da vicino, ho dato il mio contributo per direfare.pn.it, un progetto per pensare la città di domani creando nuovi legami, valorizzando nuovi punti di vista.

Ho visto, in questi anni, alcuni temi forti: la questione dell’ospedale, a tutt’oggi appesa all’alea di finanziamenti regionali e d’individuazione di aree; il percorso del Wireless Civico (un’infrastruttura che si sta allargando per la città, e che può diventarne un luogo di costruzione del futuro); l’evoluzione, pezzo per pezzo, della città in città della conoscenza, con spazi per la cultura che rappresentano una delle grandi sfide per il futuro; la stipula di accordi di area per l’ambito socioassistenziale; il complicato percorso per la definizione degli spazi edificati ed edificabili; l’affermarsi, trasversale, di una sensibilità ambientale più marcata;   l’affievolirsi, nel corso degli ultimi anni, del tema della sicurezza in luogo di quello, purtroppo più impellente, del lavoro.

Stando qui dentro ho imparato meglio, credo, cos’è la mia città e come se ne prospetta il futuro, il che vuol dire, mi pare, che il luogo rappresenta un significativo indice di quello che avviene. Non è un luogo statico, del resto: adesso, mentre scrivo, più di metà dei consiglieri è collegato alla Rete tramite Wireless Naonis. E credo di potere dire che la Rete, specie nel configurare le relazioni tra Comune e cittadini, e tra rappresentanti politici e cittadini, sarà sempre più importante. Siamo ancora agli inizi, la campagna elettorale che si è già avviata e che sta vivendo in Rete alcuni passaggi importanti è solo un assaggio. Di questo, si può essere sicuri.

 

 

umori odori colori dell’aula consiliare

Penultimo consiglio comunale di questo mandato. Butto occhiate ai  dettagli dell’aula -le tavole di Pizzinato, le due telecamere fisse che mai ho visto funzionare ai lati dell’arcata centrale, le due altrettanto mai viste attive alle mie spalle, i medaglioni con gli stemmi ai lati del bianco lenzuolo dello schermo avvolgibile, il tabellone elettronico per le votazioni e gli interventi, le due piantane per gli abiti, i capannelli mai casuali aggregati d discussioni sui massimi, medi e minimi sistemi- ed assumo sensazioni d’altra specie -il compatto rugore della superficie gommosa del tavolo davanti a me, la lucida levigatezza del bordo del tavolo stesso, il caricarsi degli umidi odori dopo ore di consiglio, le distorsione delle voci al microfono, le stagioni intuite oltre i vetri spessi dell’aula.

Lo so già, più ancora degli argomenti qui trattati, dei momenti di passione e di noia vissuti, resteranno in mente questi dettagli.

doppiare boe

Certo, hanno un nome scolastichese, ma è roba di scuola e dunque che male c’è? Li abbiamo fatti questa settimana, gli allievi del penultimo anno del mio Liceo si sono divisi per aree di interesse e hanno partecipato ad incontri, presentazioni, visite per farsi venire qualche idea in più in merito alle loro scelte future.

Io, con Roberto Cescon, ho seguito la combriccola degli umanisti, che pensano a Lettere, Filosofia, Storia, Pubbliche Relazioni, alla stravituperata Scienza delle Comunicazioni (ma vi ricordate, ed era appena il 1993, quando era una facoltà selettiva e ci andavano i bravissimi ? ci sarebbe da scrivere sopra una storia dell’Italia di questi anni…).

Son stati giorni. Il racconto delle cose d’editoria dal di dentro, di Federica Manzon e Alessandro Canzian, di cosa significhi fare cultura sul territorio, con Valentina Gasparet, gli scenari della trasformazione digitale nelle parole del guru gangherolo, le nuove vie dell’informazione nelle lucide analisi di Sergio Maistrello, una lezione di rigore che, dalle più immediate ed accessibili esperienze quotidiane porta alle vette dell’astrazione filosofica con Enrico Tommaso Spanio

Ci siamo salutati, stamattina, per riprendere da lunedì i nostri cammini nelle classi, sapendo che un’ideale boa è stata doppiata, adesso. Sapendolo loro, naturalmente, è la loro boa, il loro percorso, ma avere l’onore  (che altra parola si dovrebbe usare?) di accompagnarlo e vederlo sbocciare, e il dovere di fare pulito il terreno per questa fioritura -beh, insomma: è un bel segnale in un sabato di febbraio, bello come lo screziarsi delle luci di questa serata.