Quaranta passi da “I promessi sposi”/36

(dal Capitolo XXXV)

“La prima cosa che si vedeva, nell’entrare, era un infermo seduto sulla paglia nel fondo; un infermo però non aggravato, e che anzi poteva parer vicino alla convalescenza; il quale, visto il padre, tentennò la testa, come accennando di no: il padre abbassò la sua, con un atto di tristezza e di rassegnazione. Renzo intanto, girando, con una curiosità inquieta, lo sguardo sugli altri oggetti, vide tre o quattro infermi, ne distinse uno da una parte sur una materassa, involtato in un lenzolo, con una cappa signorile indosso, a guisa di coperta: lo fissò, riconobbe don Rodrigo, e fece un passo indietro; ma il frate, facendogli di nuovo sentir fortemente la mano con cui lo teneva, lo tirò appiè del covile, e, stesavi sopra l’altra mano, accennava col dito l’uomo che vi giaceva.

Stava l’infelice, immoto; spalancati gli occhi, ma senza sguardo; pallido il viso e sparso di macchie nere; nere ed enfiate le labbra: l’avreste detto il viso d’un cadavere, se una contrazione violenta non avesse reso testimonio d’una vita tenace. Il petto si sollevava di quando in quando, con un respiro affannoso; la destra, fuor della cappa, lo premeva vicino al cuore, con uno stringere adunco delle dita, livide tutte, e sulla punta nere.

– Tu vedi! – disse il frate, con voce bassa e grave. – Può esser gastigo, può esser misericordia. Il sentimento che tu proverai ora per quest’uomo che t’ha offeso, sì; lo stesso sentimento, il Dio, che tu pure hai offeso, avrà per te in quel giorno. Benedicilo, e sei benedetto. Da quattro giorni è qui come tu lo vedi, senza dar segno di sentimento. Forse il Signore è pronto a concedergli un’ora di ravvedimento; ma voleva esserne pregato da te: forse vuole che tu ne lo preghi con quella innocente; forse serba la grazia alla tua sola preghiera, alla preghiera d’un cuore afflitto e rassegnato. Forse la salvezza di quest’uomo e la tua dipende ora da te, da un tuo sentimento di perdono, di compassione… d’amore!

Tacque; e, giunte le mani, chinò il viso sopra di esse, e pregò: Renzo fece lo stesso.”

Fino a questo punto, i sntimenti di Renzo nei confronti di don Rodrigo non sono certo mutati: la volontà di rivalsa è restata intatta. Fra Cristoforo mette il protagonista di fronte a una vertiginosa questione: è la salvezza, dell’avversario, ma anche la propria stessa, a dipendere dalla sua scelta.

Renzo e Cristoforo hanno, ciascuno, legato la propria vicenda personale alla ricerca della giustizia: la trovano nel volto forse privo di consapevolezza di don Rodrigo, e scoprono che quel volto, in qualche modo, è il loro specchio, perché li rivela.

Quaranta passi da “I promessi sposi”/12

(dal capitolo XI)

“Dati tali ordini, don Rodrigo se n’andò a dormire, e ci lasciò andare anche il Griso, congedandolo con molte lodi, dalle quali traspariva evidentemente l’intenzione di risarcirlo degl’improperi precipitati coi quali lo aveva accolto.

Va a dormire, povero Griso, che tu ne devi aver bisogno. Povero Griso! In faccende tutto il giorno, in faccende mezza la notte, senza contare il pericolo di cader sotto l’unghie de’ villani, o di buscarti una taglia per rapto di donna honesta, per giunta di quelle che hai già addosso; e poi esser ricevuto in quella maniera! Ma! così pagano spesso gli uomini. Tu hai però potuto vedere, in questa circostanza, che qualche volta la giustizia, se non arriva alla prima, arriva, o presto o tardi anche in questo mondo. Va a dormire per ora: che un giorno avrai forse a somministrarcene un’altra prova, e più notabile di questa.”

Nella partitura romanzesca, il capitolo XI è uno snodo, nel quale si preparano parecchi guai per Lucia e Renzo (il quale da subito, e l’autore mette sull’avviso in tal senso, fornisce un buon contributo alle proprie molestie): eppure, l’autore si permette un piccolo inciso, che contiene anche un’ellittica anticipazione, per una figura secondaria, il Griso, il fedele (per ora) scagnozzo di don Rodrigo, molto indaffarato a quest’altezza del testo. Le recenti vicende (la mancata riuscita del rapimento di Lucia, sembrerebbe di capire) sono, per la voce narrante, una manifestazione del fatto che qualche volta (qualche volta! perché la regola mondana è un’altra, come già ha chiosato a proposito di Renzo nel IV capitolo) la giustizia fa capolino: e il Griso, dice l’autore, ne darà una prova maggiore più avanti. Poiché il contesto delle azioni del Griso è sempre connesso a don Rodrigo, siamo avvisati che sarà su questa relazione che dovremo prestare la nostra attenzione: e, forse, non sarà cosa così semplice, come adesso ci appare.

Quaranta passi da “I promessi sposi”/7

(dal capitolo VI)

“Quell’uomo era stato a sentire all’uscio del suo padrone: aveva fatto bene? E fra Cristoforo faceva bene a lodarlo di ciò? Secondo le regole più comuni e men contraddette, è cosa molto brutta; ma quel caso non poteva riguardarsi come un’eccezione? E ci sono dell’eccezioni alle regole più comuni e men contraddette? Questioni importanti; ma che il lettore risolverà da sé, se ne ha voglia. Noi non intendiamo di dar giudizi: ci basta d’aver dei fatti da raccontare.”

Il capitolo VI del romanzo è attraversato da continui cambi di scena, la narrazione prende la velocità connessa alle molteplici macchinazioni che sono in movimento. Veloce, nervoso è il confronto tra fra Cristoforo e don Rodrigo: qualche cerimonia iniziale e poi è scontro vero -altro che il profluvio di chiacchiere dei commensali del capitolo precedente-, appena lasciato in sospeso dalla decisione del religioso di abbozzare e ritirarsi, cosa che gli consente di avere cognizione da un domestico di qualcosa di grave che si sta preparando.

Renzo e Agnese non sanno star fermi, Agnese ha cose da consigliare, Renzo da congegnare, ed eccolo far spola tra casa delle due donne, casa di Tonio, osteria e di nuovo casa di madre e figlia. Tutti, meno Lucia, si spostano e pensano e architettano, ci vuole, dice Agnese ripresa da Renzo, cuore e destrezza. Ma è una furbata, destrezza vuol dire il matrimonio a sorpresa, le cose da tacere a fra Cristoforo, tutte cose che a Lucia fan ripulsa: se non fosse che pure fra Cristoforo trae un’informazione decisiva (e sarà decisiva per tutta la successiva vicenda, altrimenti altro che fuga di Renzo e Lucia) da una furberia, quella del domestico che origlia i discorsi dei signorotti. Tante furberie, alcune cattive (quelle di don Rodrigo), ma altre a fin di bene, fatte fin dal venerabilissimo fra Cristoforo; ci sarebbe da pensarci su, ma Manzoni avverte il lettore: pensaci tu, io intanto ho questa storia da raccontare -e la storia è un guazzabuglio di cose cattive buone e furberie.