epea pteroenta

Le parole pesano!

Ho letto stamane, per l’ennerrima volta,  e capisco in che senso lo si dica, lo si sia detto, lo si dirà, ma io sono grecista e filologo, e questo senso molto moderno rimanda al “peso” michelstaedteriano, quello delle cose che pesano e non posano e trascinano al fondo; la lezione omerica, che si staglia nell’immagine delle epea pteroenta, cioè alate, intende invece quello che  pure nel proverbio in questo caso oltrecchè saggio anche dotto è passato: verba volant, scripta manent, le parole di bocca in bocca volano, proprio per la loro calviniana (non calvinistica) leggerezza, ch’altra cosa è da vanità.

E volano non disconnesse e frastagliate e lemmatizzate, ma associate chomskianamente nella sintetica nessuosità di un nodo sintattico…

giovedì santo

La messa del Giovedì Santo mi è sempre parsa uno dei vertici della liturgia cattolica, tutta intrisa com’è di centratura sull’esperienza di umanità. C’è la conclusione, con l’altare lasciato spoglio e l’invito non ad andarsene in pace, ma a fare compagnia a Gesù vegliando e pregando, l’invito a fare compagnia a Dio, insomma; e c’è, dentro la celebrazione, la lavanda dei piedi, la memoria di un gesto di concreta umiltà in vista del rendere l’umanità più bella. Anni fa, don Natale Padovese mi prestò il bel libro di Pier Franco Beatrice sulla lavanda dei piedi come Sacramento nella chiesa aquileiese, una chiesa votata al servizio al prossimo, quindi, e di quel libro feci un punto fondamentale nella costruzione di quella che pensavo diventasse una mia carriera scientifica.

A distanza di anni, penso che sia stato davvero il punto fondamentale nella costruzione di qualcosa, ma in un senso ben diverso, e non connotato solo in termini religiosi.  Natale e Pier Franco, grazie.

la mia Madeleine

Il sorprendente e tiepido sole di questo sabato ha scaldato il tendone dell’edicola sotto casa, e passandoci accanto verso ora di pranzo ho avuto una delle mie personali Madeleine. L’afrore di gomma cotta, dolciastro e acre, ha richiamato un dietro l’altro i tendoni sotto i quali ho annusato primavere promettenti ed estati incipienti, nei tempi che furono da Giudice di pattinaggio a rotelle…

…l’odore asburgico, austero ma pure di cedevole decadenza (contrappuntato del resto dal vicino inceneritore) del pallone pressostatico di via Giarizzole, la pista del Jolly Trieste…

…il misto di odor di gomma e cottura di cevapcici al Pattinaggio Triestino…

…il pallone di Mortise, a Padova, una pista dove andare a giudicare gare provocava la strana sensazione di essere a casa, per me che lì studiavo, pur non essendo quello l’amato suolo di piastrelle del Palamarmi naoniano…

…la struttura di Maliseti di Prato, sede di una strampalata semifinale di campionato italiano…

…la pista di Teramo, di un campionato provinciale con una Giuria da campionato italiano dopo una serie di beghe per tesseramenti, con noi giudici arrivati in maglietta e bermuda, quanto è facile certe volte sdrammatizzare, quando non se ne ha neanche l’intenzione…

…strutture strettine, con spogliatoi per giudici ottimi per allenarsi alle acrobazie, con tribunette striminzitissime dalle quali ogni frase di un presente era allo stesso tempo amplificata e distorta.

E le amicizie sotto quei palloni dall’amichevole afrore…

…Bell’affare, la Madeleine.

E’ strana l’amicizia

-Papi, oggi M. [una compagna di Benedetta] è caduta per terra.

-Si è fatta male?

-Non tanto, ma è successa una cosa.

-Dimmi.

-S. e L. [due altre compagne, non particolarmente legate a Benedetta] si sono subito preoccupate di lei.

-….

-…invece R. [che è invece molto amica di Benedetta] le ha detto di alzarsi, e poi è tornata a parlare della sua cartella nuova.

–Ah.

-E’ strana l’amicizia, papà.