A p. 9 il numero di febbraio de “Il momento” riporta le mie riflessioni sul nuovo romanzo di Eraldo Affinati. Qui di seguito una versione più ampia della recensione.
Eraldo Affinati è un autore caro ai lettori pordenonesi, che lo hanno visto e sentito più volte durante gli appuntamenti di pordenonelegge.it (particolarmente intenso il ricordo della presentazione, con Pierluigi Cappello e Stas Gavronski, del volume del poeta friulano Mandate a dire all’imperatore, ove Affinati scrive le dense pagine d’introduzione), nel corso di incontri con gli studenti delle scuole del territorio (al Leopardi-Majorana ed al “Torricelli” di Maniago) e nell’ambito della rassegna “Il dialogo creativo”.
Nel percorso di scrittura di Eraldo Affinati, si intrecciano e si definiscono, di libro in libro, alcuni temi fondamentali: l’amore per quegli autori che sollecitano nell’individuo l’impegno etico nei confronti dell’esistenza; il racconto della vocazione (uso il termine nel suo pieno senso) di insegnante, vissuta nella dimensione dell’incontro con i propri allievi, con le loro storie, con la loro dimensione umana che non si esaurisce tra le pareti scolastiche; il viaggio, tanto nel tempo quanto nello spazio (nella storia e nei luoghi fisici), come modo per trovare la connessione tra le generazioni e per misurare pensieri, spunti e letture sulla propria carne. Il coinvolgimento dell’autore nelle ragioni dei propri libri lo spinge ad utilizzare, prevalentemente, la narrazione in prima persona, che saldi quanto si è sperimentato a quanto si è letto e pensato. Tra i passaggi del percorso dello scrittore (alcuni dei suoi lavoro ho recensito, su queste pagine, nel corso degli anni), ricordo almeno Campo del sangue del 1997 (il racconto di un viaggio da Udine ad Auschwitz, sulle orme di un viaggio a cui la madre era riuscita, per poco, a sottrarsi), poi Un teologo contro Hitler. Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer (2002), dedicato alla straordinaria vicenda del teologo ucciso a Flossenburg; ancora più avanti, Secoli di gioventù (2004), in cui un professore ed alcuni tra gli “ultimi” dei suoi studenti viaggiano annodando presente, passato e futuro d’Europa e dei suoi sogni ed incubi, fino a giungere, più vicini a noi nel tempo, ai volumi che nascono più concretamente dall’esperienza scolastica -La città dei ragazzi (2008), Elogio del ripetente (2013) e da ultimo Vita di vita (2014).
Nelle tappe di questo ricco e denso percorso, che ho appena appena tratteggiato, di Eraldo Affinati, c’è un incontro che spesso aleggia sulle pagine, tra i personaggi ed i riferimenti, e che trova ora la sua concreta manifestazione nel suo ultimo volume: si tratta dell’incontro con la figura del priore di Barbiana, al quale è appunti dedicato L’uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani, uscito in questi giorni per Mondadori. Affinati costruisce il suo libro con la sua scrittura documentata, agile, scattante e concentrata, che mobilita sempre l’attenzione del lettore e la disponibilità a lavorare sulla forza di uno spunto. In dieci memorabili capitoli scritti in seconda persona (una scelta fatta quasi a voler essere testimoni di sé e, contemporaneamente, a prendere quella distanza dalle proprie azioni che è propria dell’esame di coscienza) vengono visitati i luoghi lungo cui si è svolta la vicenda terrena di Lorenzo Milani: le grandi case benestanti di Firenze prima e poi quella di Milano dove la famiglia si trasferisce negli anni Trenta; l’incantevole proprietà padronale nella campagna di Montespertoli e quella di Castiglioncello; il seminario fiorentino dove Lorenzo entra dopo il manifestarsi della sua vocazione; i due luoghi della pratica pastorale del sacerdote, San Donato di Calenzano prima e naturalmente Barbiana, fino al ritorno a Firenze a causa della malattia. Riscontrando luoghi, incontrando testimoni (tra tutte, spicca la figura di Adele Corradi, la professoressa borghese che ogni giorno faceva 160 chilometri di viaggio per andare e tornare da Barbiana), richiamando testi, Affinati mette in chiaro i nodi della vita di don Milani: la consapevolezza della propria condizione privilegiata ed i primi segni d’insofferenza; la maturazione della scelta del sacerdozio; la radicalità dell’impegno pastorale e delle sue conseguenze; l’insegnamento agli “ultimi” come dimensione essenziale; la genesi delle due opere più importanti, Esperienze pastorali e Lettera a una professoressa. Le pagine di Affinati illuminano fulmineamente alcuni passaggi decisivi nella ricostruzione del percorso di don Milani: la consapevolezza della responsabilità di “restituire” quanto ottenuto coi benefici della nascita agiata e della cultura raffinata, nella testimonianza di Pietro Ichino, figlio di cari amici milanesi (il quale attribuirà ad alcune, decisive parole del priore la scelta di lavorare nel sindacato e non nello studio del padre); l’incontro con il prossimo, quale elemento qualificante della scelta cristiana, come appare dalle brevi pagine del priore alla studentessa napoletana Nadia Neri (“Quando avrai perso al testa, come l’ho persa io, dietro poche decine di creature, troverai Dio come un premio. Ti toccherà trovarlo per forza perché non si può far scuola senza una fede sicura”); le difficoltà e le inevitabili delusioni lungo il proprio impegno, accettate come segno della crescita delle nuove generazioni (da una lettera ad Agostino Burberi, uno degli allievi più critici: “La scuola deve tendere tutta nell’attesa di quel giorno glorioso in cui lo scolaro migliore le dice: Povera vecchia, non t’intendi più di nulla!”). Molto altro ancora portano con sé, gettando luce con scorci improvvisi, queste pagine (ad esempio, sul talento letterario di don Milani, che trova la sua dimensione nello spazio epistolare, perché, anche nel caso della scrittura, non si può essere soli).
Ma il lavoro di Eraldo Affinati non vuol solo essere un viaggio lungo le strade di don Milani, sia pure col passo di colui che legge le storie e se ne fa leggere: il testimone, come spesso egli scrive, è fatto per essere passato, e lo spirito di Barbiana, oggi, è contenuto in queste parole di Ernesto Balducci: “Barbiana non è più in Mugello: Barbiana è in Africa, è nel Medio Oriente, Barbiana è una comunità musulmana, Barbiana è in America latina. Le Barbiane del mondo dicono che noi ci comportiamo come se il mondo fossimo noi.” Ecco così che i capitoli dedicati alle tappe nei luoghi di don Milani sono intervallati dalla narrazione di esperienze dell’autore in luoghi e situazioni, nel mondo odierno, dove, come egli scrive “c’è già chi, senza averlo mai conosciuto, né saputo niente di lui, segue il suo esempio”: nella scuola di un villaggio africano, a contatto con un vecchio maestro in Marocco, a confronto con un figlio difficile dell’Europa postmoderna a Berlino, nei luoghi della più meccanica modernità o laddove (Hiroshima) l’uomo ha dato le sue prove più efferate. A guidare tutti questi riscontri, l’assunto tolstoiano, fatto proprio nell’esperienza di don Milani (così come in quella di Bonhoeffer): la responsabilità che assumiamo di fronte allo sguardo del nostro prossimo.
Il viaggio di Affinati si conclude a Roma, alla ricerca di una nuova sede per la scuola d’italiano per stranieri Penny Wirton (un altro impegno sulla linea di don Milani): nel peregrinare tra istituzioni ecclesiastiche, difficoltà e rifiuti, l’autore giunge dunque nella parrocchia di don Francesco. Allo scrittore che gli chiede quali siano i suoi riferimenti, il sacerdote risponde secco: “Don Primo Mazzolari e don Milani”. L’abbraccio tra i due, su cui il libro si chiude, dice ancora una volta che la vita è fatta della forza degli incontri. Come in fondo è stato, per chi scrive, aver conosciuto Eraldo Affinati per portarlo, anni fa, a portare una sua riflessione su don Milani: naturalmente, a degli studenti.