Tarda mattinata, la mia città, semaforo che da viale Libertà immette su viale Dante. Mi fermo sulla corsia più esterna. Passa un attimo, arriva all’interno un’auto blu di quelle tedesche che fanno a Stuttgart. Getto lo sguardo, a bordo sta un signore della mia età, con la camicia a maniche arrotolate e cravatta lenta. Ci conosciamo dai tempi del Liceo, lui ha fatto Giurisprudenza e poi è entrato in azienda.
Mentre il tempo della storia è rimasto sospeso (ma non quello del racconto), mi ha riconosciuto pure lui. Mi saluta, con un cenno del capo. Annuisco. Abbiamo i finestrini abbassati entrambi, mi fa:
-Ti ho letto, sai. Vorrei dirti una cosa.
-Quanto lunga?
-Perché?
-Sta per venire il verde. Se vuoi, me la dici al bar, ci prendiamo un caffè.
-Va bene. Ci fermiano a un bar qui vicino.
Vicino, a quest’ora, vuol dire che arriviamo fino a via Oberdan, per parcheggiare le auto. Entriamo al bar vicino alla banca.
-Ti ho letto, sul blog. La cosa dei compleanni e delle generazioni.
-Grazie.
-Ci ho pensato, sai. Hai un po’ ragione, un po’ torto.
-Grazie, ancora. Di solito, mi dicono che ho torto. Se poi vien fuori col tempo che ho anche ragione, di solito si dimenticano di dirmelo.
-Vabbè. Hai ragione, sai: la nostra generazione, ci hanno comprati. Ma hai torto a pensare -e si capisce che lo pensi, sai- che sia stato male.
-Dimmi, m’interessa molto.
-Senti un po’. Ti riassumo la mia vita -ma la conosci (diciamo che lo faccio soprattutto per finzione narrativa ad uso dei tuoi lettori, del resto sei autorizzato in quanto autore, a fare un po’ come ti pare): laurea, azienda dopo la laurea, carriera, matrimonio, tre figli. Casa con mutuo, quasi finita di pagare; casa al mare con mutuo, pagata; vacanze belle, viaggi, vestiti, mobili, auto, le scuole per i bambini. Il divorzio, gli alimenti, la signora che mi tiene la casa adesso, un po’ di spese per la vita da single postdivorzio -adesso per inciso mi sono calmato. Bene, e la tua, di vita? Tanto diversa?
-Beh, sul piano evenemenziale, alcune cose diverse. Poi, immagino, i soldi, un po’ di meno. Forse un po’ tanti di meno, non so. La casa al mare non ce l’ho…
-Certo, certo. Ma sostanzialmente diverse? Per dire. Bravo e studioso come sei sempre stato, sei felice?
-E che domande sono? E’ un post di Moccia prima maniera, questo (ovvio che non l’ho detto, ma fa parte delle concessioni di cui sopra)? Ma ti rispondo. Non è sulla felicità che misuro quanto la mia vita sia piena di senso…
-…il che, detto in sintesi, vuol dire che sei più o meno insoddisfatto come me. E dunque: se tanto ho da essere insoddisfatto e irrealizzato, meglio esserlo con un po’ di comodità in più, adesso e anche per la vecchiaia, ammesso che ci si arrivi. Senza offesa.
-E figurati. Che offesa è? Ora, però, non so dirti, ma, per quanto tu sia convincente (qui non invento: mannaggia, io parlo effettivamente così, con le concessive ed il congiuntivo, che ci volete fare), c’è qualcosa che non mi convince del tutto. Ma non saprei ora dirti cosa.
-Beh, pensaci. Magari mi chiami e mi sai dire.
E non scherza.
Vado a prendere i bimbi, viene ora di pranzo, viene il pomeriggio, le cose che si fanno, i pensieri vari, ma sapete com’è, c’è il tarlo ed il tarlo rode, ed insomma cerco di mettere a fuoco quello che avrei voluto dire e non sapevo che fosse.
Arriva sera e la cosa mi viene in mente, come al solito in un contesto improvvisato (nella fattispecie, mentre verso dell’olio extravergine di olive pugliesi sui petti di pollo fumanti di piastra). Dopo cena (il petto di pollo freddo fa schifo, converrete), lo chiamo:
-Ciao. Ti è venuto in mente, allora, cosa volevi dirmi?
-Sì. C’è una differenza, sai. Io, l’infelicità, ho lasciato lo spazio che ci fosse. Non me la sono nascosta.
-E allora?
-L’ho coltivata, perché avesse qualcosa da dirmi. E sbagliavo.
-Perchè?
-Pensavo che avesse da dire qualcosa a me, e che questo mi rendesse speciale. Abbi pazienza, il solito snobismo intellettuale. Ma non è così. Ha qualcosa da dire, ma non solo a me: a noi. E io non ho privilegi. L’ho coltivata, le ho lasciato spazio, ma adesso, se vogliamo farne qualcosa, la dobbiamo ascoltare insieme.
-Noi due?
-Noi due, e altri ancora. Non so perché, ma non credo che siamo soli.
-No. Non credo neanch’io. Non siamo soli.