una non ben chiara forma di fedeltà

Un sabato del mese di marzo dell’anno dei Mondiali di Roberto Baggio rincasai da scuola accompagnato da ragioni di costernazione pubblica e privata. Per entrambe le sfere, la costernazione, beninteso, era roba mia; per altre persone ciò che metteva me in perplessità era, e nel giro di poche settimane sarebbe stato, invece, ragione di soddisfazione, privata e pubblica. Non ero, ad ogni modo, disposto in maniera così equanime,e per farmi passare il nervoso privato e pubblico che fosse, ricorsi a una delle forme di rimedio a me note, nella specie della visita alla libreria che preferivo della città in cerca di ispirazione. Non c’è più, adesso, quella libreria, in quel posto ora si comperano dei vestiti di catena giovanile (del resto, negli anfratti di Draghi-Randi a Padova, dove ordinavo le mie Belles Lettres, ora i tocchi di franciosità vengono da Chanel); allora, però, c’era, e tra gli espositori con le novità mi diressi verso un libro dalla copertina bianca, con la foto dei tavolini bianchi di un locale chiamato “A Brasileira”. Comperai quel libro, che accompagnò, diede uno sfondo e una prospettiva a quel periodo, pubblico e privato -naturalmente a me, per altri valgono ragioni e riflessi diversi. Mi parlò di una fedeltà a motivi miei che non necessariamente a quel tempo ero in grado di capire (né la fedeltà né i motivi), ma che forse avrei capito col tempo e con un po’ di umile fiducia in quella fedeltà (ho col tempo capito che è effettivamente così, il guaio è che spesso me ne dimentico).

Quel libro cominciava con queste parole:

“Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d’estate. Una magnifica giornata d’estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava.”

Diciotto marzo, prova scritta

Il 18 marzo del 1991 pioveva comodamente, proprio come oggi, un po’ meno freddo.
La sera  prima ero tornato da un raduno di giudici di pattinaggio artistico a San Benedetto del Tronto, avevo fatto ore piccine e viaggiato assai, eppure la mattina del 18 ero alle 8 nella sede del Provveditorato agli Studi di Pordenone per fare la prova scritta del concorso ordinario per la classe A043, insomma materie letterarie per le scuole medie. Oggi dico eppure, allora nemmeno ci pensavo, del resto avevo 26 anni. Allora.
Quel giorno feci il mio tema-saggio sulla presentazione a una classe di un libro di Stefano Benni, “Baol”. Oggi pensavo a quanto sono cambiato io, ai libri che scrisse poi e alle cose che poi fece Benni, e potrei scrivere tante cose, e non tutte mirabili a proposito di me e di quello che poi feci e forse delle cose che Benni poi scrisse (sul fece non mi pronuncio) ma mi piace ricordare un passaggio del capitolo finale di quel libro, che mi pare dica qualcosa di buono per un oggi che tanto buono non pare. Dunque: il protagonista entra in un locale, un posto anonimo, solo che il pianista…”se esiste un’anima, beh, sta suonando con quella”.
Ecco, se etc etc, ma la mia musica così la vorrei suonare.

Rileggendo “I fiori blu”/2: vivere su una chiatta, chiatti chiatti, senza aspettare aggiornamenti di stato

Il Duca d’Auge s’addormenta, e dal sonno si scuote con gesti lenti l’abitatore di una chiatta in riva alla Senna, il pigro Cidrolin. Come tutti i pigri ha rituali precisi e accidiosi, tanto per cominciare (s)gradisce il cibo che gli viene preparato da una delle sue figlie. Da bravo pigro, gode dei vantaggi dello star fermo.

E aver la forza di star fermi, tante volte, è una solida virtù. Alla fin fine un punto di forza, Siddharta se n’era acconto ed enumerando le sue competenze (tanto per dirla da moderni) aveva messo il saper aspettare. Altri tempi. Magari adesso, con la velocità compulsiva degli aggiornamenti di stato, le cose sono diverse, e bisogna muoversi comunque, dar riflesso di uno spostamento. Lo chiamiamo “stato”, ma non è e non può essere statico, perché se è statico si imbalsama, e quello che davvero conta è l'”aggiornamento”.  La coerenza è opzionale. E non solo la coerenza, cioè l’elementare correlazione tra le cose che ti sono attribuibili, ma anche la coesione, che lega le cose che dici e fai a un contesto. Puntiforme e sempre attuale, l’aggiornamento di stato rinuncia alla coerenza e punta dritto alla tua pancia. Ai tuoi sensi. Ai tuoi elementari e reattivi istinti.

A Cidrolin capita invece che, stando fermo, la fiera vanitosa del politically correct si mostri per quel che è, ma bisogna appunto, per vederla per quel che è, condividere il suo punto di vista, cioè riuscire un pochetto a stare fermi.

E non è facile. Inevitabilmente, se stai fermo, qualcosa comincia a lavorare dentro di te, e non si tratta solo delle tue parti luminose.

Rileggendo “I fiori blu”/Uno: liberarsi della storia?

“Il venticinque settembre milleduecentosessantaquattro, sul far del giorno, il Duca d’Auge salì in cime al torrione del suo castello per considerare un momentino la situazione storica.” La trovò intricata, risolvibile in una sequela di giochi di parole, e per nervoso, dopo essersi sfogato su quanto e cosa gli capitasse a tiro, decise di partire per un viaggio.

Voleva liberarsi della storia, implacabile, disseccatrice di gaudio…

…e che meglio, per tirarsi d’impaccio del peso del passato, di dare un po’ di matto e partire per un nuovo viaggio?  Un nuovo look, nuovi costumi…Le cose del passato, dette e ridette, scadono a nomenclatura inerte, e si va…

…ma intanto il pigro abitante di una chiatta sulla Senna si desta, il Duca se lo sta sognando lui, o forse è lui il sogno del Duca. Mica si scherza col tempo.

E in ogni caso è iniziata una storia nuova. Hai voglia a rompere strappare e smaniare, la storia da cui ti vuoi liberare, la scrivi, la scrivi…

quattro passi nella costruzione della socialità

Attraversare la “mia” scuola (quella della quale, giusta un’espressione latina esattissima, sono Dirigente pro tempore) significa muoversi lungo tre edifici, collegati tra di loro da due piccoli cortili.

Mi piace muovermi in questi spazi la mattina presto, quando non c’è ancora nessuno.  Ma è più bello muoversi qui dopo, quando cominciano ad arrivare insegnanti e studenti. Arrivano, si aggregano, iniziano a chiacchierare, poi, secondo ritmi loro o secondo il suono delle campanelle, salgono nelle classi, nei laboratori. Lasciano vuoti i corridoi.

I giorni, sono quelli che sono, in Italia, oggi. Come che vada, decisivi, ad ogni modo, per questo angolo di mondo. Angolino sempre più -ino, ma angolino dove si muove la vita che vivo. Vent’anni fa, ne avevo meno di trenta, e ci furono giorni decisivi, che in effetti decisero molto della mia età adulta. Questi di adesso decideranno l’età verso la mia vecchiaia, immagino; soprattutto, gli anni che accompagnano l’arrivo tra gli adulti dei “miei” studenti. E dei miei figli.

Si parla molto, e giustamente, di tutti i “patti” fondativi, scritti e no, del nostro vivere civile, che si sono deteriorati o sfaldati. Di quelli da riscrivere. Ogni mattina, in mezzo ai corridoi, entrando nelle aule, attraversando i cortili, sento di stare in un posto quanto si voglia complicato, mal raccontato, affaticato -sì, certo-: ma un posto dove ogni mattina si fonda e si vive -con tutte la fatiche del caso- il patto della socialità.

La scuola.