Quaranta passi da “I promessi sposi”/33

(dal capitolo XXXII)

“Da’ trovati del volgo, la gente istruita prendeva ciò che si poteva accomodar con le sue idee; da’ trovati della gente istruita, il volgo prendeva ciò che ne poteva intendere, e come lo poteva; e di tutto si formava una massa enorme e confusa di pubblica follia.”

La gente istruita è parte dei propri tempi, della cultura e della società in cui nasce e cui partecipa: pertanto, condivide coi tempi in cui vide modi d’intendere e comportamenti sociali. Manzoni ha un’idea complessa delle cose degli uomini, potremmo dire olistica e non piramidale -uno dei tratti francamente dirompenti del suo romanzo, e per questo, come sempre accade con don Lisander, intuibile solo di sfuggita, mai per esplicita asserzione.

Quaranta passi da “I promessi sposi”/25

(dal Capitolo XXIV)

“Per don Abbondio questo ritorno non era certo così angoscioso come l’andata di poco prima; ma non fu neppur esso un viaggio di piacere. Al cessar di quella pauraccia, s’era da principio sentito tutto scarico, ma ben presto cominciarono a spuntargli in cuore cent’altri dispiaceri; come, quand’è stato sbarbato un grand’albero, il terreno rimane sgombro per qualche tempo, ma poi si copre tutto d’erbacce. Era diventato più sensibile a tutto il resto; e tanto nel presente, quanto ne’ pensieri dell’avvenire, non gli mancava pur troppo materia di tormentarsi.”

Quando ho studiato Manzoni al Liceo, mi ero appassionato alla questione della scelta del genere romanzesco, dopo le tragedie, ma fra tutti i temi connessi -gli umili, la lingua, la visione dell’uomo- non avevo certo preso in considerazione la necessità strutturale di un personaggio come don Abbondio, che, anzi, al me diciannovenne pareva, in buona sostanza, un cagasotto cui va dritta, senza alcun merito, e che non capisce niente di tutta la storia. E in effetti, è proprio così, don Abbondio è proprio questo, e proprio qui sta la ragione della sua necessità: il romanzo ci mostra, come accade nelle vicende degli uomini, che contemporaneamente alle vicende eroiche e tragiche c’è sempre qualcuno che vorrebbe non averne troppi fastidi, tenendo come propria regola di vita cavarsela. Nel romanzo, non è che la storia inizi in tragedia e poi si ripeta in farsa: tragedia e farsa stanno insieme, e don Abbondio ce lo dimostra.

Rileggendo “I fiori blu”/Uno: liberarsi della storia?

“Il venticinque settembre milleduecentosessantaquattro, sul far del giorno, il Duca d’Auge salì in cime al torrione del suo castello per considerare un momentino la situazione storica.” La trovò intricata, risolvibile in una sequela di giochi di parole, e per nervoso, dopo essersi sfogato su quanto e cosa gli capitasse a tiro, decise di partire per un viaggio.

Voleva liberarsi della storia, implacabile, disseccatrice di gaudio…

…e che meglio, per tirarsi d’impaccio del peso del passato, di dare un po’ di matto e partire per un nuovo viaggio?  Un nuovo look, nuovi costumi…Le cose del passato, dette e ridette, scadono a nomenclatura inerte, e si va…

…ma intanto il pigro abitante di una chiatta sulla Senna si desta, il Duca se lo sta sognando lui, o forse è lui il sogno del Duca. Mica si scherza col tempo.

E in ogni caso è iniziata una storia nuova. Hai voglia a rompere strappare e smaniare, la storia da cui ti vuoi liberare, la scrivi, la scrivi…