(dal capitolo XIX)
“– Veda vostra paternità; son cose, come io le dicevo, da finirsi tra di noi, da seppellirsi qui, cose che a rimestarle troppo… si fa peggio. Lei sa cosa segue: quest’urti, queste picche, principiano talvolta da una bagattella, e vanno avanti, vanno avanti… A voler trovarne il fondo, o non se ne viene a capo, o vengon fuori cent’altri imbrogli. Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire. Mio nipote è giovine; il religioso, da quel che sento, ha ancora tutto lo spirito, le… inclinazioni d’un giovine: e tocca a noi, che abbiamo i nostri anni… pur troppo eh, padre molto reverendo?…”
Alla metà esatta del romanzo sta un dialogo politico, quello tra il conte zio e il padre provinciale dei Cappuccini. Se vogliamo, e conoscendo un poco Manzoni non si tratta di pensiero peregrino, questo potrebbe essere il “punto di massimo allontanamento” della vicenda dalla sua eventuale soluzione. E c’è ragione, perché qui parla solo, ed esclusivamente, la più mondana delle saggezze mondane, chiaramente evocata dal conte zio, parte pensata tra sé e sé e parte agita dal padre provinciale.
Non è una vicenda di mediazione, o di compromesso, cose proprie e quotidiane della politica, che nascono dall’esplicito confronto tra parti: è quell’arbitrio, felpato e violentissimo, connesso al “sopire, troncare…troncare, sopire”, ben messo a chiasmo, così il lettore non ci passa sopra distratto. Anzi, il lettore è invitato a comprendere bene, e ad allontanarsene schifato: per fortuna, c’è metà romanzo ancora, da questo punto di massimo allontanamento dal senso proprio delle cose.