…ai miei allievi di III B, dopo la cena di classe di ieri sera (una cena di buona conversazione, aneddoti, riflessioni serie -non entreremo in nessun cast di film del sottogenere maturità, temo). Ma prima delle quattro cose, grazie per tutti i momenti nei quali, in questi tre anni, mi avete dato da riflettere, su come fare -ed essere- in un’altra maniera. E poi, lo so: ciascuno di voi ha il suo momento -personale- in cui ha fatto fatica a capire che volessi da lui: ma anche il momento in cui ci si è capiti -anche sorprendentemente, magari (e magari vi capiterà anche più avanti, o capiterà a me).
Insomma, le quattro cose, per il futuro, che riprendo dalla nostra conversazione dell’ultimo giorno di scuola.
Prima cosa. Datevi da fare per dire sempre parole di cui siate pronti a rispondere senza esitare: parole vostre, precise e discernenti, intrise del vostro senso di responsabilità. Le parole giuste da dire nel momento in cui vanno dette -non ho detto quelle “vere”, ho detto (ed è roba più importante) quelle “giuste” (e voi che avete fatto il classico sapete che Dike non scherza).
Seconda cosa. Non presumete mai di sapere tutto -su niente. Nemmeno sulla cosa che sapete meglio e più di tutti. C’è sempre un dettaglio di mondo che racconta daccapo un mondo (abbiamo letto Gadda, no?).
Terza cosa. Fate esercizio a tenere, sempre, un angolino di voi che si permetta di guardarvi da fuori, che non si faccia schiacciare dall’infinita e pavloviana serie di reazioni automatiche alle cose del mondo.
E, quarta: fate sempre il vostro meglio. Non la perfezione, ché quella alla lunga finisce col diventare una scusa per non fare. Il meglio, laddove siete, con quello che avete, con quelli che avete.
Bene: in bocca al lupo per l’esame, e poi fuori, a conquistare il mondo, che ha bisogno che voi gli vogliate bene: e ne siete capaci.