Quaranta passi da “I promessi sposi”/17

(dal capitolo XVI)

“– E per questo, – disse uno della brigata, – io che so come vanno queste faccende, e che ne’ tumulti i galantuomini non ci stanno bene, non mi son lasciato vincere dalla curiosità, e son rimasto a casa mia.

– E io, mi son mosso? – disse un altro.

– Io? – soggiunse un terzo: – se per caso mi fossi trovato in Milano, avrei lasciato imperfetto qualunque affare, e sarei tornato subito a casa mia. Ho moglie e figliuoli; e poi, dico la verità, i baccani non mi piacciono.”

Non così, i buoni e bravi e cauti avventori dell’osteria, poche pagine sopra, all’arrivo di Renzo: tutto un desiderio d’essere a Milano, al centro delle cose, invece. Bastano i racconti truci del mercante per spegnere i bollori; intanto, però, Manzoni ha notato finemente questo, la quantità di rabbia repressa che abita nella buona e brava e cauta gente. Renzo sta in un angolo, attento a non tradirsi, eppure (anche se non lo sa) giganteggia: lui, in fondo, era in città in cerca della giustizia. Ma finirà per trovare, e i segnali stanno già alla fine del capitolo, quando egli si alza, qualcosa di meglio.

Quaranta passi da “I promessi sposi”/15

(dal capitolo XIV)

“Due lumi a mano, pendenti da due pertiche attaccate alla trave del palco, vi spandevano una mezza luce. Molta gente era seduta, non però in ozio, su due panche, di qua e di là d’una tavola stretta e lunga, che teneva quasi tutta una parte della stanza: a intervalli, tovaglie e piatti; a intervalli, carte voltate e rivoltate, dadi buttati e raccolti; fiaschi e bicchieri per tutto. Si vedevano anche correre berlinghe, reali e parpagliole, che, se avessero potuto parlare, avrebbero detto probabilmente: “noi eravamo stamattina nella ciotola d’un fornaio, o nelle tasche di qualche spettatore del tumulto, che tutt’intento a vedere come andassero gli affari pubblici, si dimenticava di vigilar le sue faccendole private”. Il chiasso era grande. Un garzone girava innanzi e indietro, in fretta e in furia, al servizio di quella tavola insieme e tavoliere: l’oste era a sedere sur una piccola panca, sotto la cappa del cammino, occupato, in apparenza, in certe figure che faceva e disfaceva nella cenere, con le molle; ma in realtà intento a tutto ciò che accadeva intorno a lui. S’alzò, al rumore del saliscendi; e andò incontro ai soprarrivati. Vista ch’ebbe la guida, “maledetto!” disse tra sé: “che tu m’abbia a venir sempre tra’ piedi, quando meno ti vorrei!” Data poi un’occhiata in fretta a Renzo, disse, ancora tra sé: “non ti conosco; ma venendo con un tal cacciatore, o cane o lepre sarai: quando avrai detto due parole, ti conoscerò”. Però, di queste riflessioni nulla trasparve sulla faccia dell’oste, la quale stava immobile come un ritratto: una faccia pienotta e lucente, con una barbetta folta, rossiccia, e due occhietti chiari e fissi.”

In queste righe, Manzoni predispone la scena per la recita sgangherata di Renzo, destinata al fallimento fin dall’inizio, incentrata com’è -sia nella parte sobria, che in quella etilica- sull’idea fissa del protagonista, la giustizia, in un locale che gronda l’esatto contrario di cio ch’è giusto in ogni anfratto. L’unica giustizia, che al momento sta in attesa, è quella, ufficiale, del birro che vuole arrestare Renzo, ed è anch’essa manifestazione di somma ingiustizia. Tutto è pronto per la rovina di Renzo. E -noi sappiamo- per il fragoroso scarto che invece avverrà.

Quaranta passi da “I promessi sposi”/12

(dal capitolo XI)

“Dati tali ordini, don Rodrigo se n’andò a dormire, e ci lasciò andare anche il Griso, congedandolo con molte lodi, dalle quali traspariva evidentemente l’intenzione di risarcirlo degl’improperi precipitati coi quali lo aveva accolto.

Va a dormire, povero Griso, che tu ne devi aver bisogno. Povero Griso! In faccende tutto il giorno, in faccende mezza la notte, senza contare il pericolo di cader sotto l’unghie de’ villani, o di buscarti una taglia per rapto di donna honesta, per giunta di quelle che hai già addosso; e poi esser ricevuto in quella maniera! Ma! così pagano spesso gli uomini. Tu hai però potuto vedere, in questa circostanza, che qualche volta la giustizia, se non arriva alla prima, arriva, o presto o tardi anche in questo mondo. Va a dormire per ora: che un giorno avrai forse a somministrarcene un’altra prova, e più notabile di questa.”

Nella partitura romanzesca, il capitolo XI è uno snodo, nel quale si preparano parecchi guai per Lucia e Renzo (il quale da subito, e l’autore mette sull’avviso in tal senso, fornisce un buon contributo alle proprie molestie): eppure, l’autore si permette un piccolo inciso, che contiene anche un’ellittica anticipazione, per una figura secondaria, il Griso, il fedele (per ora) scagnozzo di don Rodrigo, molto indaffarato a quest’altezza del testo. Le recenti vicende (la mancata riuscita del rapimento di Lucia, sembrerebbe di capire) sono, per la voce narrante, una manifestazione del fatto che qualche volta (qualche volta! perché la regola mondana è un’altra, come già ha chiosato a proposito di Renzo nel IV capitolo) la giustizia fa capolino: e il Griso, dice l’autore, ne darà una prova maggiore più avanti. Poiché il contesto delle azioni del Griso è sempre connesso a don Rodrigo, siamo avvisati che sarà su questa relazione che dovremo prestare la nostra attenzione: e, forse, non sarà cosa così semplice, come adesso ci appare.