(la prima parte è qui)
Al Ginnasio, un compito in classe ti fece incontrare per la prima volta la storia di Arione, cantore straordinario, sottratto a un destino violento da un branco di delfini, ai tempi in cui tra città greche della madrepatria e colonie gli spostamenti erano fitti e consueti. La città, in cui egli accumulò le ricchezze che lo misero tanto in pericolo, l’hai vista tante volte, ci torni volentieri, già le indicazioni stradali (la Statale 7, la Statale 106) che incontri sanno di viaggi antichi, di storia e letteratura.
Sei pur sempre un classicista, sai però bene che, prima di arrivare, ti viene incontro non il mito, ma il tempo presente.



Hai davanti chilometri di una storia infinita, che per te che vivi altrove magari è storia, per chi sta qui è vita quotidiana; hai chilometri di strada, verso la città, tra svincoli, binari, stabilimenti, per comprendere che tutto qui è possibile, fuorché la consolante via della semplificazione.
E poi entri in una città che si muove tra due mari, carica di storia: Taranto.



L’imponente Palazzo del Governo, in restauro, ti rimanda ad un’idea di grandezza ancorata alla storia, al mare che circonda la città.
E questa storia la trovi poco lontano di qui,
Coi ragazzi lo hai visitato già prima che ne inaugurassero la ristrutturazione, è un posto che vi piace chiamare con il nome femminile derivato dalla sua sigla: “Andiamo da MarTa“, vi siete detti tante volte.

E dentro, dentro. La storia di un luogo abiatato da sempre, attraversato da scambi, civiltà, culture, narrazioni, religioni, tragedie e fasti.
E dentro, tanti incontri.

Questi occhi, avvolti dal colore, puntati -spaventati? curiosi?- verso chissà cosa.

Un antenato di Pulcinella, di duemilacinquecento anni fa, in terre del resto imbevute di teatro, tragico o comico che fosse -come la vita.

Un acrobatico equilibrista, come la città, che è tra due mari.

Il giovane e sfrontato Edipo, vagabondo che non era altro, quando ancora pensava di sapere tutto, e la vita lo assecondava, come nell’incontro con la Sfinge: e invece, avrebbe saputo ben dopo, ben diversamente, e non più giovane.

Un combattimento, che potrebbe stare sul Partenone.
MarTa ti porta fino ad oggi, con le sale dedicate a coloro che iniziarono gli scavi,a fine Ottocento; ti si congeda nella piazza che dà sul Palazzo del Governo, sembra dirti: abbi cura di me, che sono sempre stata abitata. E aver cura di me significa pensare quanto sono stata complessa -popoli, commerci, religioni; quanto sono difficile -il presente. Aver cura di me significa impegnarsi in quel palazzo, concreto e simbolico, che hai di fronte, per come puoi, per come tutti possono.