Talvolta sentiamo il bisogno di salire. Non per sfuggire al mondo, ma per guardarlo da un altro punto. È questo che fece Petrarca quel giorno — era il 26 aprile del 1336 — quando decise di salire sul Monte Ventoso. Lo racconta nella lettera al suo maestro, Dionigi da Borgo San Sepolcro, con un tono che è insieme cronaca di un’esperienza fisica e meditazione interiore. La salita è reale, faticosa, piena di deviazioni. Ma è anche simbolica: è il segno di un bisogno più profondo, quello di capire il senso del vivere.
“Oggi, spinto da un solo desiderio, mi sono accinto a salire su un monte assai famoso della nostra regione, che è detto Ventoso”. Petrarca racconta i propri tentennamenti. Vuole prendere la via più lunga, più panoramica, più gradevole. Ma si accorge che è un continuo girare intorno, senza salire davvero. Alla fine si arrende all’evidenza: la via più breve, più aspra, più ripida — è l’unica che conduce in cima. Quante volte, nella vita, tentiamo di evitarla. Quante volte preferiremmo i sentieri comodi, i percorsi già tracciati. Ma chi cerca davvero, chi vuole vedere oltre, deve passare per la fatica. Deve affrontare la salita.
Petrarca arriva in cima, guarda il paesaggio, sente il mondo intero ai suoi piedi. Eppure non si sente più grande, né più distante. Piuttosto, si sente toccato da qualcosa che lo riporta all’essenziale. Prende in mano le Confessioni di Sant’Agostino che aveva portato con sé e apre a caso. Gli occhi cadono su queste parole:
«E gli uomini vanno ad ammirare le cime dei monti, le onde del mare, le ampie correnti dei fiumi, il vasto oceano, il corso degli astri — e trascurano sé stessi.»
È una ferita e una rivelazione. È come se la salita, tutta quella fatica, fosse stata necessaria per scoprire che il punto più alto da cui guardare il mondo è dentro di sé. Il monte non è un rifugio. È uno specchio. Da lassù, con lo sguardo che abbraccia la valle, Petrarca non disprezza il mondo. Lo vede finalmente per quello che è: grande e piccolo, pieno di luce e denso di ombre, attraversato da desideri contraddittori, bellezza effimera e slanci eterni. E lo ama — proprio così com’è.
La vera salita non è finita. È appena cominciata. È quella che si fa ogni giorno, dentro le scelte, le relazioni, i pensieri. È la salita che ci porta, lentamente, faticosamente, ad abitare noi stessi con più verità.
E allora forse salire al Monte Ventoso non è un gesto eccezionale. È solo la forma in cui, a volte, prende corpo la nostalgia di un senso. È il desiderio di vedere più in là — non per fuggire dal mondo, ma per restarci con occhi nuovi.