Quaranta passi da “I promessi sposi”/31

(dal Capitolo XXX)

“Dopo un’altra po’ di strada, cominciarono i nostri viaggiatori a veder co’ loro occhi qualche cosa di quello che avevan tanto sentito descrivere: vigne spogliate, non come dalla vendemmia, ma come dalla grandine e dalla bufera che fossero venute in compagnia: tralci a terra, sfrondati e scompigliati; strappati i pali, calpestato il terreno, e sparso di schegge, di foglie, di sterpi; schiantati, scapezzati gli alberi; sforacchiate le siepi; i cancelli portati via. Ne’ paesi poi, usci sfondati, impannate lacere, paglia, cenci, rottami d’ogni sorte, a mucchi o seminati per le strade; un’aria pesante, zaffate di puzzo più forte che uscivan dalle case; la gente, chi a buttar fuori porcherie, chi a raccomodar le imposte alla meglio, chi in crocchio a lamentarsi insieme; e, al passar della carrozza, mani di qua e di là tese agli sportelli, per chieder l’elemosina.”

La devastazione, che gli uomini fanno -in questo caso le varie armate mercenarie susegguitesi- ha questa, tra le altre caratteristiche: azzera tutto, lascia solo il segno di sé, e Manzoni addensa in queste righe, come fossero fotogrammi in rapida sequenza, i tratti dello scempio prodotto su quella campagna ordinata, risultato, come lo scrittore nel capitolo iniziale aveva tratteggiato, di lunghe e pazienti cure di generazioni.

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