Quaranta passi da “I promessi sposi”/8

(dal capitolo VII)

” Domani io non verrò quassù; devo stare al convento tutto il giorno, per voi. Tu, Renzo, procura di venirci: o se, per caso impensato, tu non potessi, mandate un uomo fidato, un garzoncello di giudizio, per mezzo del quale io possa farvi sapere quello che occorrerà. Si fa buio; bisogna ch’io corra al convento. Fede, coraggio; e addio.

Detto questo, uscì in fretta, e se n’andò, correndo, e quasi saltelloni, giù per quella viottola storta e sassosa, per non arrivar tardi al convento, a rischio di buscarsi una buona sgridata, o quel che gli sarebbe pesato ancor più, una penitenza, che gl’impedisse, il giorno dopo, di trovarsi pronto e spedito a ciò che potesse richiedere il bisogno de’ suoi protetti.

– Avete sentito cos’ha detto d’un non so che… d’un filo che ha, per aiutarci? – disse Lucia. – Convien fidarsi a lui; è un uomo che, quando promette dieci…

– Se non c’è altro…! – interruppe Agnese. – Avrebbe dovuto parlar più chiaro, o chiamar me da una parte, e dirmi cosa sia questo…

– Chiacchiere! la finirò io: io la finirò! – interruppe Renzo, questa volta, andando in su e in giù per la stanza, e con una voce, con un viso, da non lasciar dubbio sul senso di quelle parole.

– Oh Renzo! – esclamò Lucia.

– Cosa volete dire? – esclamò Agnese.

– Che bisogno c’è di dire? La finirò io. Abbia pur cento, mille diavoli nell’anima, finalmente è di carne e ossa anche lui…

– No, no, per amor del cielo…! – cominciò Lucia; ma il pianto le troncò la voce.

– Non son discorsi da farsi, neppur per burla, – disse Agnese.

– Per burla? – gridò Renzo, fermandosi ritto in faccia ad Agnese seduta, e piantandole in faccia due occhi stralunati. – Per burla! vedrete se sarà burla.

– Oh Renzo! – disse Lucia, a stento, tra i singhiozzi: – non v’ho mai visto così.

– Non dite queste cose, per amor del cielo, – riprese ancora in fretta Agnese, abbassando la voce. – Non vi ricordate quante braccia ha al suo comando colui? E quand’anche… Dio liberi!… contro i poveri c’è sempre giustizia.

– La farò io, la giustizia, io! È ormai tempo. La cosa non è facile: lo so anch’io. Si guarda bene, il cane assassino: sa come sta; ma non importa. Risoluzione e pazienza… e il momento arriva. Sì, la farò io, la giustizia: lo libererò io, il paese: quanta gente mi benedirà…! e poi in tre salti…!”

Per Agnese la questione del matrimonio impedito ha bisogno, come s’è visto nel capitolo precedente, di destrezza e cuore; per fra Cristoforo, passato a riassumere la situazione prima di rientrare in convento, servono invece fede e coraggio. La differenza tra le vedute, posto che su cuore e coraggio esse s’accordano, sta dunque tra fede e destrezza, e non è da poco: la furbizia mondana dell’una, la fiducia in Dio dell’altro.

Ancor più marcata la differenza di fra Cristoforo rispetto al compendio motivazionale che Renzo espone in questo passo: lper quest’ultimo, l’aiuto verrà da pazienza e risoluzione, cioè dalla costanza per trovare il momento in cui vendicarsi di don Rodrigo, e dalla fermezza nel farlo. Fra Cristoforo lo ha mostrato nel capitolo VI: ad un certo punto dello scontro con don Rodrigo, semplicemente egli si zittisce e abbandona la presa, dichiara la sua resa di fronte al sopruso; Renzo sta all’estremo opposto, quello in cui non si cede all’arbitrio, ma si prepara la rivalsa. Sia fra Cristoforo che Renzo pensano che le loro azioni s’inscrivano in un piano di giustizia: ma per il giovane si tratta della propria personale, per il cappuccino di una prospettiva più ampia.

Per il momento, pare che prevalgano gli impulsi alla destrezza, al dare un’impronta agli eventi per piegarli ad un fine, e Renzo riesce ad estorcere il consenso alla macchinazione per il matrimonio a sorpresa ad una Lucia sulle cui ragioni di ritrosia Manzoni si permette un dubbio: ma questi son capitoli d’avvio, le grandi questioni si stanno mettendo in moto, e tutti i protagonisti, gettati in un mondo diverso, scopriranno meglio se stessi e la tenuta delle loro motivazioni.

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