Quaranta passi da “I promessi sposi”/5

(dal capitolo IV)

“C’è talvolta, nel volto e nel contegno d’un uomo, un’espressione così immediata, si direbbe quasi un’effusione dell’animo interno, che, in una folla di spettatori, il giudizio sopra quell’animo sarà un solo. Il volto e il contegno di fra Cristoforo disser chiaro agli astanti, che non s’era fatto frate, né veniva a quell’umiliazione per timore umano: e questo cominciò a concigliarglieli tutti.

Quando vide l’offeso, affrettò il passo, gli si pose inginocchioni ai piedi, incrociò le mani sul petto, e, chinando la testa rasa, disse queste parole: – io sono l’omicida di suo fratello. Sa Iddio se vorrei restituirglielo a costo del mio sangue; ma, non potendo altro che farle inefficaci e tarde scuse, la supplico d’accettarle per l’amor di Dio –. Tutti gli occhi erano immobili sul novizio, e sul personaggio a cui egli parlava; tutti gli orecchi eran tesi. Quando fra Cristoforo tacque, s’alzò, per tutta la sala, un mormorìo di pietà e di rispetto.”

Il quarto capitolo del romanzo è tutto dedicato alla storia personale di fra Cristoforo. Si tratta di una vicenda che ha a che fare con molte cose del mondo: l’orgoglio, il ruolo sociale, la facile confusione tra giustizia e vendetta, i rapporti diplomatici tra ordini religiosi e nobili. Manzoni conosce tutto questo, così come ha presente il rischio della deriva apologetica della vicenda che vuole raccontare. Una cosa gli preme, però, più di tutte: pur essendo una storia che tocca molto la questione del potere e dei rapporti di forza tra gli uomini, non è questo il modo in cui si risolve. Il vecchio Ludovico, ora fra Cristoforo, entra nella casa nobiliare non per timore umano. Lo scrittore non aggiunge niente: al lettore sta provare a comprendere di che si tratti. Certo è che, nel momento di massima umiliazione, questa stessa diventa una forza difficile da definire, ma effettiva.

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