(dal capitolo XXVI)
“Siccome però, tra due grossi litiganti, qualche cosa, per poco che sia, bisogna sempre che il terzo goda; così Bortolo fu avvisato in confidenza, non si sa da chi, che Renzo non istava bene in quel paese, e che farebbe meglio a entrare in qualche altra fabbrica, cambiando anche nome per qualche tempo. Bortolo intese per aria, non domandò altro, corse a dir la cosa al cugino, lo prese con sé in un calessino, lo condusse a un altro filatoio, discosto da quello forse quindici miglia, e lo presentò, sotto il nome d’Antonio Rivolta, al padrone, ch’era nativo anche lui dello stato di Milano, e suo antico conoscente. Questo, quantunque l’annata fosse scarsa, non si fece pregare a ricevere un operaio che gli era raccomandato come onesto e abile, da un galantuomo che se n’intendeva. Alla prova poi, non ebbe che a lodarsi dell’acquisto; meno che, sul principio, gli era parso che il giovine dovesse essere un po’ stordito, perché, quando si chiamava: Antonio! le più volte non rispondeva.”
Questo è il punto di massima complicazione della vicenda di Lucia e Renzo: lei a Milano, in casa di donna Prassede, e, coerentemente legata al voto fatto, intenzionata a dimenticarsi di ogni progetto di vita insieme; lui ricercato e, per maggior propria sicurezza, sotto falso nome, con la protezione supplementare della coltre di notizie fuorvianti architettate da Bortolo, perché non lo si rintracci.
Però però, che nome assume Renzo? Antonio Rivolta. Certo: giusto, per uno che si è ficcato nei tumulti milanesi; ma, anche, l’anticipo della sua prossima trasformazione. L’uomo delle trame si volterà indietro e ritornerà.