(dal Capitolo XXXIV)
“Renzo non istette lì a pensare: gli parve subito miglior partito sbrigarsi da coloro, che rimanere a dir le sue ragioni: diede un’occhiata a destra e a sinistra, da che parte ci fosse men gente, e svignò di là. Rispinse con un urtone uno che gli parava la strada; con un gran punzone nel petto, fece dare indietro otto o dieci passi un altro che gli correva incontro; e via di galoppo, col pugno in aria, stretto, nocchiuto, pronto per qualunque altro gli fosse venuto tra’ piedi. La strada davanti era sempre libera; ma dietro le spalle sentiva il calpestìo e, più forti del calpestìo, quelle grida amare: “dàgli! dàgli! all’untore!” Non sapeva quando fossero per fermarsi; non vedeva dove si potrebbe mettere in salvo. L’ira divenne rabbia, l’angoscia si cangiò in disperazione; e, perso il lume degli occhi, mise mano al suo coltellaccio, lo sfoderò, si fermò su due piedi, voltò indietro il viso più torvo e più cagnesco che avesse fatto a’ suoi giorni; e, col braccio teso, brandendo in aria la lama luccicante, gridò: “chi ha cuore, venga avanti, canaglia! che l’ungerò io davvero con questo.””
Finalmente, il coltello, che in più occasioni Renzo ha portato con sé, serve a qualcosa: a minacciare, per salvare la pelle. Manzoni conosce bene la letteratura del Cinque/Seicento, e la tematica della “dissimulazione onesta”: siamo da queste parti, forse un po’oltre. Vale davvero per Renzo il passaggio di San Giovanni della Croce: “Per andare dove non sai, devi passare per dove non sai.” Anche “per quello che non sei”, si può aggiungere.