(dal capitolo XV)
“– Badate a voi; giudizio, figliuolo; peggio per voi vedete; non guastate i fatti vostri; l’onore, la riputazione, – continuava a susurrare il notaio. Renzo faceva peggio. I birri, dopo essersi consultati con l’occhio, pensando di far bene (ognuno è soggetto a sbagliare), gli diedero una stretta di manichini.
– Ahi! ahi! ahi! – grida il tormentato: al grido, la gente s’affolla intorno; n’accorre da ogni parte della strada: la comitiva si trova incagliata. – È un malvivente, – bisbigliava il notaio a quelli che gli erano a ridosso: – è un ladro colto sul fatto. Si ritirino, lascin passar la giustizia –. Ma Renzo, visto il bel momento, visti i birri diventar bianchi, o almeno pallidi, “se non m’aiuto ora, pensò, mio danno”. E subito alzò la voce: – figliuoli! mi menano in prigione, perché ieri ho gridato: pane e giustizia. Non ho fatto nulla; son galantuomo: aiutatemi, non m’abbandonate, figliuoli!
Un mormorìo favorevole, voci più chiare di protezione s’alzano in risposta: i birri sul principio comandano, poi chiedono, poi pregano i più vicini d’andarsene, e di far largo: la folla in vece incalza e pigia sempre più. Quelli, vista la mala parata, lascian andare i manichini, e non si curan più d’altro che di perdersi nella folla, per uscirne inosservati. Il notaio desiderava ardentemente di far lo stesso; ma c’era de’ guai, per amor della cappa nera. Il pover’uomo, pallido e sbigottito, cercava di farsi piccino piccino, s’andava storcendo, per isgusciar fuor della folla; ma non poteva alzar gli occhi, che non se ne vedesse venti addosso. Studiava tutte le maniere di comparire un estraneo che, passando di lì a caso, si fosse trovato stretto nella calca, come una pagliucola nel ghiaccio; e riscontrandosi a viso a viso con uno che lo guardava fisso, con un cipiglio peggio degli altri, lui, composta la bocca al sorriso, con un suo fare sciocco, gli domandò: – cos’è stato?”
Diciamocelo: su un sito di notizie, o su un quotidiano, leggeremmo più o meno una cosa di questo tipo:
“-Milano.
Approfittando della confusione, un filatore di Lecco, Lorenzo Tramaglino, fermato per il suo coinvolgimento nell’assalto ai forni dei giorni scorsi, è riuscito ad eludere l’arresto. Le ricerche sono in corso in tutto il territorio dello Stato. Secondo alcune fonti, il Tramaglino, noto già alle forze dell’ordine del lecchese, sarebbe sospettato di essere uno dei capi dei rivoltosi.”
Mettiamola come vogliamo, ma Renzo si salva andando contro la giustizia: quella rappresentata in carne ed ossa, dal giudice e dai due birri, e quella esercitata dalle autorità milanesi.
Dentro il capitolo XV, il protagonista del romanzo ha il modo di verificare concretamente che, a questo mondo, non è detto che ci sia giustizia: anzi, ad attenderne docilmente il corso, il “finalmente” che Renzo pronuncia tra sé e sé per darsi coraggio dopo l’avventura con l’Azzeccagarbugli avrebbe, per lui, qualcosa di tristemente definitivo. Con la giustizia mondana bisogna cavarsela, conoscendo le cose del mondo e regolandosi di conseguenza: Manzoni ci ha già messi sull’avviso, quando l’onesto servitore di don Rodrigo origlia di nascosto le conversazioni del suo principale e le riferisce a fra Cristoforo, che giustamente lo ringrazia: c’è, insomma, un’altra giustizia, che non va sempre d’accordo con quella quotidiana, e che anzi ogni tanto si fa furba rispetto a quella.
Ma non è che sia una giustizia meno esigente (e Renzo ha ancora strada da fare, uscendo da Milano, per capirlo); è una giustizia che prende sul serio quello che Renzo dice per farsi aiutare, e che viene dai più preso ironicamente, o al contrario (come quando, nel capitolo XIV, affermava tra le risa che avrebbe volentieri pagato al produttore il pane raccolto da terra): “mi menano in prigione, perché ieri ho gridato: pane e giustizia. Non ho fatto nulla.” Ogni parola è vana e risibile per la giustizia degli uomini; è vera, per quell’altra giustizia, ed è ciò che, per l’autore, conta di più.