Quaranta giorni con la Storia della colonna infame/9

Oggi, contenuto extra: su Manzoni e Tucidide, a proposito di contagi e cura delle passioni

Prima di entrare nella lunga riflessione manzoniana sull’uso della tortura, che è l’argomento del capitolo 2 della Storia, vorrei sviluppare uno spunto che è stato suggerito dalle parole dell’autore sulle passioni (rabbia, timore, sospetto, esasperazione, come abbiamo visto), che condizionano i comportamenti di una popolazione e che influiscono sulle decisioni di chi ha un ruolo pubblico.

Mi rifaccio ad uno dei testi più significativi che la cultura occidentale abbia conosciuto, a riguardo della narrazione di un’epidemia; un testo che con ogni probabilità, almeno in lingua originale, non fa parte del corredo dei riferimenti letterari noti a Manzoni (sulla sua limitata conoscenza diretta del greco si veda Elsa M. Bruni, Greco e latino. Le lingue classiche nella scuola italiana (1860-2005), Roma, Armando, pp. 13-14), ma che in qualche modo “dialoga” con la Storia e, in modi più complessi e su segmenti narrativi diversi, anche con i Promessi sposi: si tratta  dei capitoli che lo storico del V secolo a.C. Tucidide dedica alla diffusione della peste ad Atene all’inizio della guerra del Peloponneso (la narrazione è nei capitoli 47-53 secondo libro della sua opera).

Particolarmente interessante, rispetto alle riflessioni manzoniane che si sono seguite nei giorni trascorsi, è la narrazione di come gli Ateniesi hanno cambiato, a seguito del diffondersi del contagio, il loro modo di vivere.

Per chi vuole, questo è il testo greco: di seguito la traduzione italiana:

πρῶτόν τε ἦρξε καὶ ἐς τἆλλα τῇ πόλει ἐπὶ πλέον ἀνομίας τὸ νόσημα. ῥᾷον γὰρ ἐτόλμα τις ἃ πρότερον ἀπεκρύπτετο μὴ καθ᾽ ἡδονὴν ποιεῖν, ἀγχίστροφον τὴν μεταβολὴν ὁρῶντες τῶν τε εὐδαιμόνων καὶ αἰφνιδίως θνῃσκόντων καὶ τῶν οὐδὲν πρότερον κεκτημένων, εὐθὺς δὲ τἀκείνων ἐχόντων.

ὥστε ταχείας τὰς ἐπαυρέσεις καὶ πρὸς τὸ τερπνὸν ἠξίουν ποιεῖσθαι, ἐφήμερα τά τε σώματα καὶ τὰ χρήματα ὁμοίως ἡγούμενοι.

καὶ τὸ μὲν προσταλαιπωρεῖν τῷ δόξαντι καλῷ οὐδεὶς πρόθυμος ἦν, ἄδηλον νομίζων εἰ πρὶν ἐπ᾽ αὐτὸ ἐλθεῖν διαφθαρήσεται: ὅτι δὲ ἤδη τε ἡδὺ πανταχόθεν τε ἐς αὐτὸ κερδαλέον, τοῦτο καὶ καλὸν καὶ χρήσιμον κατέστη.

θεῶν δὲ φόβος ἢ ἀνθρώπων νόμος οὐδεὶς ἀπεῖργε, τὸ μὲν κρίνοντες ἐν ὁμοίῳ καὶ σέβειν καὶ μὴ ἐκ τοῦ πάντας ὁρᾶν ἐν ἴσῳ ἀπολλυμένους, τῶν δὲ ἁμαρτημάτων οὐδεὶς ἐλπίζων μέχρι τοῦ δίκην γενέσθαι βιοὺς ἂν τὴν τιμωρίαν ἀντιδοῦναι, πολὺ δὲ μείζω τὴν ἤδη κατεψηφισμένην σφῶν ἐπικρεμασθῆναι, ἣν πρὶν ἐμπεσεῖν εἰκὸς εἶναι τοῦ βίου τι ἀπολαῦσαι.

 

Anche sotto altri aspetti il morbo dette inizio, in città, a moltissima illegalità. Più facilmente uno osava quello che, prima, teneva nascosto dal fare per il proprio piacere, perché vedevano che era radicale il mutamento di sorte fra coloro che erano felici, e morivano all’improvviso, e coloro che prima non possedevano niente e poi avevano le ricchezze degli altri. Cosicché ritenevano di rendere veloci i guadagni e volti al godimento, giudicando effimeri sia i loro corpi che le ricchezze.

E nessuno era incline ad affaticarsi per ciò che era considerato nobile, poiché pensava che era incerto se non sarebbe morto prima di arrivarci: era divenuto bello e utile ciò che era subito piacevole e che, dovunque venisse, era vantaggioso per ottenerlo.

Nessun timore degli dei o legge degli uomini li tratteneva, poiché da un lato ritenevano sullo stesso piano essere religiosi o no, dato che vedevano che tutti allo stesso modo morivano, e dall’altro, poiché nessuno si aspettava di essere in vita fino a dover rendere giustizia delle sue colpe; essi pensavano che una pena molto più grande era già stata sentenziata e pendeva su di loro, e che prima che tale punizione piombasse su di loro era naturale godere qualcosa della vita.

 

Per Tucidide, la peste rappresenta la condizione di svelamento di ciò che gli uomini tengono, in circostanze, ordinarie, nascosto: la loro tensione verso la realizzazione, il più immediata possibile, data l’incertezza su qualunque dimensione del futuro, del piacere personale. Dentro la situazione di eccezionalità che la peste determina, l’uomo dunque si spoglia dei tratti che lo caratterizzano nella vita quotidiana e manifesta la propria disposizione alla gratificazione immediata e individuale.

Il percorso di approfondimento della questione, che Manzoni svolge nell’introduzione e nel Capitolo 1 (per tacere dei capitoli sull’assalto ai forni a Milano e a quelli sulla peste nel romanzo) è, se si vuole, speculare e opposto all’autore greco: dove quello individua come riferimento dell’uomo la tendenza al piacere, Manzoni invece conduce la sua minuziosa indagine per definire dove sia il campo di libertà di scelta, che all’uomo è dato, e nel quale ognuno, come persona, si rivela.

I due autori si ritrovano nel riconoscimento dell’utilità della narrazione storica: a Tucidide essa pare realizzarsi perché, in futuro, chi lo legge possa riconoscere la sintomatologia della peste (così egli dice in 2.47); a Manzoni essa pare consistere, come si è visto nell’Introduzione a questo testo, nella possibilità, per chi legge, di riconoscere invece la sintomatologia delle passioni ed attenuarne, possibilmente, l’impatto.

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