Lungo la strada che mi porta ad una delle “mie” scuole, da qualche in giorno si van svolgendo i lavori per creare una nuova rotonda all’altezza di un incrocio. Ad ingentilire una delle svolte, due operai stanno tirando su un muro di sassi, malta e schegge di mattoni.
Fermandomi al semaforo -che esercita pedissequamente il suo ruolo ancora, in attesa di essere soppiantato dal nuovo corso rotondesco-, in questi giorni osservo il progredire quieto del lavoro e, talora, come stamane presto, il suo svolgersi. Gli operai scelgono i sassi, livellano con assi di legno, accomodano pezzi; giorno per giorno questa mite cura produce i suoi misurabili risultati.
In questo periodo si scrive e discute molto di misurazione e di evidenze, a proposito di scuola; quanto mi capita di vedere all’incrocio non è una metafora adattabile alla portata di una tale operazione. I percorsi di crescita educativa non sono un muro di sassi malta e schegge di mattoni, sono roba più complicata, intrecciata di mille tessiture. Eppure, se la fatica operosa dei due lavoratori di quell’incrocio non è accostamento perfetto, sprigiona però la sua esatta attrazione, rispetto al lavoro scolastico, non il risultato, ma il puntuale compiersi della loro attività -l’attitudine artigianale loro propria: la pazienza, la cura del dettaglio, la scelta del particolare e la visione d’insieme, il lavoro ben fatto di ognuno dei due e di tutti e due insieme. Ed un ritmo nel tempo che è dato di respirare: un ritmo quieto, a misura di esistere, che sta nel bilanciarsi dei gesti per tirare su un muretto -e che a scuola sta nel porre le condizioni perché qualcuno non approdi a caso, ma (coi tempi e i modi che la vita umana pone) sbocci.