Se c’è per me qualcosa che abbia la forza del simbolo di “casa”, è questa foto.
Ulivi, attraversati dal vento e animati dalle cicale. E la terra marrone intenso, secca, che si sgrana a toccarla. Non è fantasia, è un ricordo: mio nonno mi ci portava alle cinque del mattino, sulla sua Fiat Giardinetta. Mio nonno voleva che la terra fosse il nostro lavoro, di noi nipoti: ma ce ne siamo ben guardati, abbiamo guardato altrove, e il figlio del nonno, mio padre, che questa terra ha tanto amato ed ama, ha fatto di tutto perché fosse così (grazie, papà: non era così scontato e non è stato facile). La casa è un luogo a cui si torna, ma bisogna partirne.
Oggi pomeriggio, in cerca di un dolmen con i piccoli, tra gli ulivi, la vacanza di quest’anno ha trovato il suo centro. Per due settimane ho amato il mare di qui, come sempre, e l’ho insieme sentito, con sorpresa, per la prima volta, sfasato. Oggi ho capito perché: dopo avere, in questi anni, ripreso familiarità con il paese e il suo mare, dovevo tornare un pò più indietro, alla terra, radice della mia famiglia paterna. Era tempo: perché si viaggia in avanti, e andando avanti si cercano radici.
Per fare cosa: per guardare meglio avanti. I piccoli, con me, me ne davano la certezza, nella carne. Insieme a un dettaglio: oltre gli ulivi che sono in foto, c’è il mare. Che, oggi, per la prima volta in questa vacanza, ho sentito al suo posto giusto. Alla distanza giusta, visto a partire dal posto giusto, per essere il desiderio (desiderium: l’indizio di una mancanza) che è.